Durante l’emergenza Covid-19 ci siamo resi conto che fare smart working non significa essere necessariamente uno smart worker, anzi. Anche dentro le mura di casa, le insidie alla nostra produttività sono in agguato come e forse più che in ufficio. E allora chi meglio di chi da anni pratica smart working, per libera scelta e non per costrizione, può illuminarci su questa modalità di lavoro che molti di noi hanno appena imparato a conoscere e su cui ancora aleggiano tanti punti oscuri?

Fabio è Senior (anzi, sul nostro sito è definito come Serious, perché è uno che ci dà dentro tanto) Developer. Nel web design da più di dieci anni, ha iniziato a praticare smart working nel lontano 2011.

“Ma la svolta arrivò nel 2013 – precisa Fabio – l’anno in cui conobbi Craq Design Studio e Francesca, mia moglie. Il mio animo sovversivo mi fece prendere una decisione drastica: lasciai Bologna, dove avevo studiato e avviato la mia carriera professionale, e me ne tornai in Puglia.”

Wow, questo sì che è andare controcorrente.

Fabio – Tornai a Taranto, che a 10 anni dalla mia partenza era come se fosse completamente nuova. Fu lì che io e Francesca, che di professione è architetto, iniziammo la nostra avventura di conviventi e di smart co-worker.

Grazie alla piccola Eva, nata lo scorso anno, sappiamo che la prima è andata alla grande. Ma noi siamo qui per parlare della seconda, perché vogliamo conoscere tutti i segreti di uno smart worker professionista.

F – Allora guarda, la prima cosa che ti dico, per quanto possa sembrare ovvia, è che lo smart worker deve prestare attenzione al luogo di lavoro. Di fatto l’ufficio potrebbe essere ovunque tu ti porti il computer. Ma non è proprio così. Se non hai una postazione tarata alla perfezione sul tuo fisico, dopo un paio d’ore stai male. Quindi bisogna creare la giusta triangolazione scrivania-sedia-monitor.

E il tuo smart office dov’è?

F – In una stanza di casa nostra che abbiamo adibito a studio. Ma ieri ci siamo spostati nella nostra casa al mare, a Marina di Pulsano, dove staremo fino a settembre. Ora sono sul terrazzo, domani ricreerò la mia postazione esattamente com’è a Taranto. Tanto mi richiede poco tempo. Sono abituato a lavorare su una scrivania molto minimal: solo computer e monitor, così non mi distraggo.

L’austera postazione dello smart worker Fabio a Marina di Pulsano:
solo forzandosi a guardare al di fuori del monitor si può cader preda della vista a 360° sul Golfo di Taranto.

Ecco, appunto. Le distrazioni. Secondo te dove ci si distrae di più? In casa o in ufficio?

F – Dipende dalla personalità. In ufficio le distrazioni sono il caffè, il canestrino, la chiacchiera con il collega… in casa possono essere molto più pericolose: la PlayStation, l’iPad, la televisione… Io trovo che in ufficio sia più semplice estraniarsi, anche perché non c’è il pensiero delle problematiche della casa che invece si ha facendo smart working. Il citofono che suona, le piccole sistemazioni, possono tutte essere fonti di distrazione. E poi ci sono cose che in casa ti richiedono più tempo, tipo la pausa pranzo. In ufficio ti porti un pasto pronto, o lo ordini, o vai a mangiare fuori. Se sei in casa invece ti metti ovviamente a cucinare.

E io che credevo che la tentazione più grande fosse quella di spupazzare la tua piccola Eva!

F – E infatti lo è. Ma il vero segreto per resistere alle tentazioni è proprio quello di cedervi. Non è umanamente possibile essere produttivi per tutto il tempo di lavoro, quindi staccare ogni tanto è fondamentale. E poi, se è prevista la pausa sigaretta, sarà ben più sano concedersi una pausa coccola?

Sei davvero una persona molto saggia. Sei anche un tipo da regole?

F – Per uno smart worker alcune regole sono fondamentali. La prima è darsi degli orari, o si finisce per non avere separazioni tra vita privata e lavorativa. La seconda è prevedere dei momenti di decompressione in cui passare dalla modalità lavorativa a quella casalinga, l’equivalente dello spostamento da casa al luogo di lavoro e viceversa. Legato a questo c’è il tema degli spazi. Non si lavora in cucina. Ogni luogo della casa è deputato a un momento specifico della giornata. Sembra una cosa scontata ma non lo è, richiede disciplina, pratica e qualche trucchetto.

Tipo?

F- Il mio è stato Fernando, il cane che ho preso quando mi sono trasferito qui e che mi costringe a trovare il tempo per muovermi. Così posso scandire le mie giornate e contrastare la sedentarietà.

Un bel primo piano di Fernando, il fido alleato dello smart worker Fabio.

E per quanto riguarda i trucchi di tecnologia?

F – In realtà non ne uso tantissimi. Più che altro ho una lista di strumenti e pratiche che mi aiutano ad aumentare la produttività, e che mi porto dietro da quando ero libero professionista. La prima è misurare il tempo che impiego per fare le cose. Sapere quanto mi ci vuole a compiere un determinato task mi serve per poter programmare le mie attività. La seconda è mantenere una repository con tutto ciò che posso riutilizzare, a partire dai pezzi di codice. La terza è dedicare il tempo necessario ad archiviare e tenere in ordine lo spazio di lavoro. Cominciando dalla casella mail. Io uso molto i contrassegni, con l’obiettivo di essere sempre in Inbox 0. Essere smart worker ti dà maggiori libertà, e la libertà comporta maggiore organizzazione. La quarta è naturalmente il Cloud, senza il quale probabilmente nemmeno esisterebbe lo smart working.

Fin qui tutto bello. Ma anche lo smart working avrà i suoi lati negativi. Tipo la distanza dai tuoi superfantastici colleghi…

F – Ce ne sono, certo. Su tutti la mancanza di rapporti umani e la possibilità di confrontarsi su temi professionali. Per questo, quando sono previsti, uno smart worker deve sempre partecipare ai momenti di aggregazione aziendale. Conoscere i tuoi colleghi ti aiuta a lavorare meglio, e nessuna conversazione su Slack ti permetterà mai di comprendere una persona quanto una chiacchierata serale durante un Qamp.

A cui tu, effettivamente, a riprova che qui non c’è niente di fake, non manchi mai di partecipare. Ultima domanda: come vedi lo smart working dopo il Coronavirus?

F – Io sono dell’idea che una persona debba sempre avere la possibilità di fare smart working. Soprattutto per le aziende di servizi, l’organizzazione del lavoro non può non prevederlo. Forse una cosa buona del Coronavirus è stata mostrare anche ai più stakanovisti che passare tutta la vita in ufficio non solo non fa bene, ma non serve proprio. Ricordiamoci sempre che non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere. E se esiste l’induritore di capezzoli di Jennifer Lopez, allora esiste qualsiasi tipo di lavoro, non ci sono scuse per nessuno.

Il nesso un po’ mi sfugge, son sincero.

F – Quello che voglio dire è che come esiste una molteplicità quasi infinita di lavori, così possono esserci diverse modalità di organizzarli. Lo smart working è un’opportunità che va sempre concessa, e che le persone devono poter scegliere se adottare o meno. Inoltre, come neo-papà ho potuto verificare che è uno strumento di parità di genere. Quando è nata Eva, ho avuto diritto a un ridicolo congedo di una settimana. Se non fossi stato uno smart worker, superato quel periodo non avrei più potuto prendermi cura della bambina, e tutto il peso della genitorialità sarebbe ricaduto su mia moglie. Invece così Francesca non ha dovuto fare nessuna rinuncia professionale, e anche adesso possiamo goderci insieme e in modo equo i piaceri del lavoro e della famiglia.

Questo è un risvolto a cui non avevo minimamente pensato. Grazie per il tuo contributo, Fabio, sei stato davvero illuminante! Proseguirei molto volentieri la nostra conversazione, ma è quasi l’una, e visto che oggi faccio smart working anch’io c’è un’incombenza che devo assolutamente assolvere: scaldare l’acqua per la pasta.

F – Grazie a te per l’opportunità. Buon smart working e buon pranzo!

Per concludere, una tenerissima foto dello smart worker Fabio mentre lavora e combatte le disparità di genere.